Con la recente morte del grande maestro Dario Fo si chiude un gran pezzo della storia dell'arte teatrale d'Italia, che rimarra' sicuramente incomparabile e indimenticabile.
Un artista che per tutta la vita si è battuto contro l’affermazione
secondo cui “la cultura dominante è quella della classe dominante”.
Attraverso la sua intera opera Dario Fo ha lavorato affinché le classi
sociali che da secoli erano state costrette nell’ignoranza prendessero
coscienza del fatto che è il popolo a essere depositario delle radici
della propria cultura.
Per questo suo impegno nel 1997 gli è stato conferito il Premio Nobel
per la Letteratura “perché, seguendo la tradizione dei giullari
medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”.
Insieme all’adorata compagna Franca Rame ebbe il coraggio di
allontanarsi dai circuiti teatrali ufficiali, che lui amava definire
“teatro borghese”, per portare i loro spettacoli in luoghi non
convenzionali come fabbriche occupate, piazze, case del popolo e
carceri.
Quando si appassionava a una storia e a un personaggio per prima cosa
conduceva un’inchiesta approfondita, per imparare lui stesso in modo da
poter trasmettere agli altri. La sua figura si distingue in questo,
Dario Fo non ha mai avuto bisogno dell’etichetta di “intellettuale”,
perché l’idea di cultura per la quale si è battuto non è né accademica
né elitaria. I suoi lavori nascono dalla cultura popolare per essere
restituiti al popolo.
Il suo modo di concepire la narrazione non era mai limitato, ma si
allargava a tutte le forme artistiche cui amava attingere. Nel momento
in cui scriveva una storia all’istante la vedeva, vedeva i personaggi, i
volti, le scene, e li raffigurava sulla tela, per poi portarli sul
palco, trascinando il suo pubblico in una straordinaria scatola magica.